I racconti
Organico (o l'assioma del cucuzziello)
di Luca Buoninfante
Ok, questo è ciò che
facciamo tutti noi separatori di monnezza, ogni sera dispari della
semana salvo el domingo. Se ci volessimo porre seriamente il
problema probabilmente non camperemmo più.
di Luca Buoninfante
Pare niente, uno pensa ai
pomodori, bucce di patata, cocce d’uovo, roba così, roba innocua
insomma.
Neanche per il cazzo. Nei
residui di materiale organico, e quindi a quel punto anche nelle
nostre panze, c’è di tutto. Dai metalli pesanti alle salmonelle,
dai diserbanti agli antibiotici ed estrogeni per fare intruciniare
le mucche. Come fai a decidere, onestamente, dove mettere ‘sto
cazzo di organico? Non è che ti puoi mettere, il lunedì sera dopo
le nove mi raccomando, a fare la questione accademica sul
quantitativo di mercurio che insaporisce i resti del merluzzetto che
ti sei appena scofanato. Chiudi il sacchetto (biodegradabile, ah ah
ah) e lo metti nell’apposito contenitore, che ti saluta con una
fanfara di puzze.
Più se ne sa, meno se ne
vorrebbe sapere. Dalle nostre parti anche la lattuga è diventata un
po’ sospetta, la lavi per bene col bicarbonato e speri che basti. E
che cacchio, in fondo è solo lattuga. Non ci pensi, non ci vuoi
pensare a quello che quasi certamente compone gli strati profondi di
terreno, gli argini dei fiumi, le falde acquifere stuprate dal
percolato. Vabbè, non sarà dappertutto così, saranno casi
eccezionali, ma d’altronde la Campania quella è, non è che può
fare il miracolo di digerire per decenni schifezze, diossine ecc. e
poi regalarti lattughe, frutta e mozzarelle al di sopra di ogni
sospetto. Da qualche parte dovranno andare a finire, tutti questi
inquinanti. Ti dicono che, in effetti, di sostanze più o meno nocive
la nostra zona è già bella farcita, per effetto dei molteplici
vulcani che fanno zompare a livelli record il quantitativo di zolfo,
cadmio, arsenico, piombo e compagnia bella nelle acque, ad esempio,
del fiume Sarno. Appunto, dico io, non bastavano gli inquinanti
naturali? Che saranno pure di origine geologica, ma sempre male
fanno; il nostro organismo reagisce e compensa, ma di certo non è
preparato al moltiplicarsi di certi attacchi. Se ci aggiungi tutto
quanto su accennato, quello a un certo punto si rompe le palle e ti
ritrovi a parlare con un medico perplesso.
So di essere paranoico,
ma è solo questione di come affronti il problema. Ti dicono: occhio
ai prodotti importati, chissà da dove vengono, chissà se e come
sono stati controllati. Il problema dei prodotti nostrani, salvo
l’orticello dietro casa se uno ce l’ha o la piantina di basilico
da balcone, è che lo sappiamo benissimo da dove vengono, e possiamo
tranquillamente immaginarne l’accuratezza nei controlli…
Lo vedete che così non
si campa più?
O tutti con l’orticello
privato, e comunque devi starci attento, oppure bisogna inserire il
fenomeno nel marasma delle quotidiane minacce alla nostra salute, e
buonanotte. Io ho il basilico, la menta e cose così sul balcone.
Ovvio, me ne cibo senza patemi, e mi beo del profumo. Ma talvolta,
mentre stacco le foglioline dalla pianta, mi vengono in mente i tanti
tetti in eternit anni settanta che occupano parte del mio panorama
condominiale. Ti dicono che l’eternit, se viene verniciato bene,
non polverizza se non in rarissimi casi. Nel dubbio di poter far
parte dei rarissimi, lavo comunque le foglioline di menta, vasenicola
o quel che è. Non si sa mai, cerchi di mangiare più sano e poi
magari ti frega il basilico. Lavo, poi asciugo, mi do del cretino e
finalmente magno. Lo so che è ridicolo. Lo so che basta una
camminata a piedi respirando lo smog del traffico per fare
altrettanti danni, se non peggio. Rispetto al consumo di alcool e
tabacco, è chiaro che se devo decidere cosa fa più male non vincono
gli anticrittogamici che stanno su certa verdura. Mi piacerebbe però
che potessimo guardare almeno all’organico come a qualcosa di
innocuo, roba che si mangia e basta, senza dover verificare luogo e
data di semina, concepimento, crescita e infine raccolta di ogni
singola cibaria. Se è tutto così sereno ed innocente, perché devo
tracciare vita, morte e miracoli della mia bistecchina? Perché
questa dimostrazione che è tutto in regola, tutte queste
rassicurazioni sul fatto che il percorso sia rigorosamente bio? Mi
volete mettere ansia?
Ok, ho un pochino
d’ansia. Ma devo pur nutrirmi. Mi fa un po’ incazzare la scritta
“provenienza: Italia” che sta sull’etichetta col codice a barre
azzeccata per esempio sui sacchi di patate. Dovrebbe farmi sentire
meglio il fatto che la patana è italiana? Non mi interessa di dov’è,
anche se dire “italiana” e basta è piuttosto vago, in questo
caso mi preme che sia un prodotto che mi sazia senza cercare di
uccidermi. Se è italiano o giapponese, e a quel punto se è di
Salierno o di Belluno, mi interessa dal punto di vista
dell’inquinamento legato ai trasporti oceanici di prodotti che
possiamo benissimo procurarci sotto casa. Là sì che mi brucia se la
mia acqua minerale si deve fare mille chilometri perché io me la
beva. È perché qua fa schifo che mi devo comprare l’acqua del
trentino? Dice: bevi l’acqua della fontana. Nella mia città è
stato consigliato di non bollirci nemmeno la pasta, con l’acqua di
rubinetto. C’è roba che a lungo andare fa maluccio. Niente di
drammatico, e poi dipende dalle zone. A casa mia dopo un po’ ci
trovi la sabbia, e fa un sacco di calcare da tutte le parti. Si vede
che sono sfigato io. È chiaro che poi con quell’acqua ci cucino lo
stesso e talvolta ci deglutisco aspirine se sono raffreddato. Ci
faccio il caffè. È che tutte le volte ti viene il pensiero del
cloro, del calcare e compagnia. Ma mica mi posso intossicare pure il
caffè? In minime quantità, mi bevo pure un pochino di calcare,
capace che viene pure meglio il caffettuccio con l’acqua così,
finchè non mi si ottura la macchinetta e mi rendo conto di quanto
esce dal rubinetto a parte l’h2o. Per bere, e bevo tipo cammello
certe volte, ovviamente compro l’acqua minerale. Ciò vuol dire che
almeno un misero camioncino ha dovuto inquinare qua e là per tutta
la zona per fare in modo che io potessi dissetarmi senza pensieri,
ben sapendo che altrimenti l’acqua del mio rubinetto mi farebbe
crescere a lungo andare le stalattiti nella panza. Lo ammetto, sono
complice. Sono corresponsabile della puzza del camionno. Senza che
faccio tanto il saporito, come direbbe un mio amico: è pure colpa
mia.
Tornando però a
pummarole, melanzane, cucuzzielli ecc. mi viene da pensare che
mentre per me potrebbe pure essere rassicurante sapere che la
carcioffola che ingurgito è campana, per il brianzolo medio sarebbe
una bella preoccupazione, e ci penserebbe due volte prima di
comprarsela. Vicino a casa = genuino? È questo l’assioma del
cucuzziello? Se è così, per certe zone questo assioma non vale,
anzi funziona al contrario. Tracciare l’albero genealogico della
carcioffola - non sia mai transgenica! -, conoscere il luogo di
semina e di scoppamiento, chi ci ha menato sopra cosa, chi l’ha
raccolta, come l’ha trasportata, come è stata conservata ecc. è
roba davvero complicata. A un certo punto si sconfina nella fede, ti
devi fidare e basta. Uno allora cerca di tornare alla fonte, sperando
che la parlata avventurosa e il viso schietto del parzunaro che si ha
di fronte siano garanzia di genuinità, e che si stiano portando a
casa soppressate senza stress, pomodori amichevoli, vruoccoli
innocenti. O il pescatore ancora umidiccio che ti mostra il pescato
guizzante, il capitone fuggitivo, più fresco di così! Poi magari il
vruoccolo ti fa fesso anche se aveva una bella faccia, o il capitone
si rivela metallifero nonostante la vivacità, che ne so. L’ho
detto, ad un certo punto è fede, uno decide che sarà il capitone ad
avere la peggio, e se lo mangia senza paura. Non sarà questo
vruoccolo a fermarmi, giammai! Roba così, insomma. Sennò come si
fa? Uno dice: io mangio solo biologico. Ora, non è che lo smog o le
falde acquifere inquinate si fermano a distanza di sicurezza per
rispetto delle coltivazioni “biologiche” . Dipende da dove stanno
i cacchio dei campi coltivati, se sono troppo vicini ad una fonte di
inquinanti ci puoi stare attento quanto ti pare, ci troverai comunque
degli inquinanti. Hai voglia a chiamarlo “biologico”. Ergo,
gente, a questo punto magnate senza troppi pensieri. “Biologico”
o meno, davvero non sarà il vruoccolo ad estinguere il genere umano,
non abbiate paura. Al massimo potrete passare una brutta nottata a
causa di quelle cozze che vi sembravano così veraci, ma morire
proprio la vedo difficile. È altro, purtroppo, ciò che ci secca in
corpo certe volte. Sarebbe bello arrendersi soltanto all’assalto
del cibo, più spesso ti ciacca la qualità di merda dell’aria e
anche del suolo, oltre alla caterva di danni autoinflitti. Se
qualcosa deve nuocermi, che almeno abbia un buon sapore, dico io. Ma
ripeto, non ci pensate troppo a questi fatti pesanti. Non ne vale la
pena, e non si modifica poi tanto la situazione. Magari evitate ai
vostri cuccioli, se ne avete, di intossicarsi come ha fatto la nostra
generazione, che di tante cose non sapeva un catanazzo. Fatevi
l’orto, se appena potete. Pure sul balcone. Cercate di produrre il
più possibile da voi ciò che mangiate, oppure fatevi la camminata
settimanale fino al parzunaro di cui vi fidate di più. Idem per
pescivendolo e chianchiere, se siete carnivori. Andate a fiducia, ma
soprattutto annusate. Il vostro nasino non mente, se non è cosa ve
lo farà capire chiaramente. Perdete un po’ di tempo a scegliere
cosa mangiare, vi prenderete più cura di voi stessi e delle persone
che amate. Guardate le vostre verdure nelle palle degli occhi mentre
crescono e maturano, se è possibile. Crescersi anche solo una
piantina di peperoncino è una bella soddisfazione, ci metti la cura,
ti adegui ad un ritmo naturale. Insomma, cercate di difendervi, ma
continuate a gustarvi la cena nel frattempo. La vita è breve e
spesso stronzella, anche se sei salutista.
Ora scusatemi, è il
momento del sacchetto. Mi incappotto per bene, agguanto l’organico
per le recchie e, sapete, in questo momento non mi fa nessuna paura
il possibile contenuto di scorie di quelle bucce di patata, culi di
pomodoro, resti di uova e scorze di formaggio che mi accingo a
conferire nell’apposito ecc. ecc.. Sacchetto, sappi che non mi fai
più paura di quello della signora del primo piano. A giudicare
dall’odore di quella munnezza, tu sei un sacchetto a salve, caro
mio. 180 passi, più o meno, ed ecco che ho trasferito la mia puzza
in campo neutro. Rincaso infreddolito, e al posto del vecchio
sacchetto ce n’è subito un altro, vuoto, pulito, ancora ignaro di
ciò che sta per inzaccherarlo. Domani è un altro giorno, si vedrà.
Non vi disturbate ad andare in ansia, a quello ci penso io. Ci
vediamo dall’altra parte dello specchio.
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